Quando il cielo è più grigio del solito, quando lo stendino ti guarda sconsolato e umidiccio da un angolo della casa.
Quando in dispensa è finito il cioccolato, quando la maratona Mentana prende una bruttissima piega.
Quando apri l’anta della cucina e vola un bicchiere a terra, quando metti il detersivo per i piatti in lavastoviglie e ti chiedi come diavolo facessi a partecipare a 17 anni agli schiuma-party sulla musica di Gigi D’Agostino, mentre combatti con secchio e aceto.
Quando le cose si mettono male, ognuno reagisce un po’ a modo suo.
C’è chi parte con i rap di bestemmie, chi urla, chi piange, chi si porta le mani alla bocca e sta lì.
Negli anni ho appurato che le svariate tecniche personali, messe a punto fino all’adolescenza, hanno in qualche modo perso la loro efficacia.
Chiudere gli occhi e fingere di essere invisibile, per dire, non funziona più.
Affondare mento e bocca nella sciarpa e scivolare giù giù fino al naso per dissentire è molto poetico, ma stagionale, esattamente come succede per la vellutata di zucca: funziona meravigliosamente da ottobre a febbraio, poi perde tutto il suo fascino.
Quando le cose si mettono male, io impasto biscotti.
Un gesto estetico? Politico? Rivoluzionario? Perfettamente inutile?
La giusta dose di tutto, come succede in un impasto.
Impasto biscotti perché ho bisogno di sentire quel profumo rassicurante lì salire su dal forno, riempire la cucina, entrarmi in testa e ovattare tutto.
Impasto biscotti perché mi concentro sulle mani, sulla consistenza, sui movimenti fino ad infilare lì dentro tutta la bizzarra gamma dei comportamenti umani.
Impasto biscotti mai uguali, ad occhi chiusi per affinare l’intuito, aggiungendo e togliendo ingredienti per ricordarmi di tutte le alternative di gusto e di scelta che esistono e per apprezzare le differenze. Le differenze sono preziose: aumentano la visione, fortificano l’esperienza, ti fanno evolvere.
E poi? Poi succede che una domenica mattina le cose si mettono ancora più male: mentre stai preparando un Guacamole in pigiama e chiacchierando con il Rocker, infili il dito indice sinistro nel minipimer velocità turbo.
“Ehiii, che succede?”
“Mi sono tagliata. Questa volta è bruttobrutto“.
Pronto soccorso, attesa, punti, “è molto devascolarizzato, chiamiamo il chirugo“, lastre, stecca, bende. Ancora bende, poi bende, poi bende.
“Sono molto molto pessimista su questo polpastrello, signorina, io devo essere sincero e non credo riusciremo a recuperarlo.”
Telefonate.
“Fai troppe cose, troppe. Devi fermarti, quante volte te lo deve dire mamma? Hai la testa per aria!”
“Ah, il dito? Eeeh Marzia, cose che succedono ai vivi. Senti nonna cosa ti dice: meglio il dito della gamba, se ci pensi bene!”
Insomma, la situazione è grave, ma non seria 🙂
Soprattutto se la tua medicazione fa assomigliare il tuo indice a quello di E.T. e puoi salutare tutti dicendo: “Telefono casa”, oppure soffiarci sopra con aria truce dopo aver finto una sparatoria nel West, dipingerlo con le fattezze del T-Rex di Jurassic Park o ancora fare le corna a tre dita con il tuo ditone enorme, decisamente rock’n’roll.
E no, questa volta non ho potuto impastare i biscotti. Ho guardato a lungo queste foto, l’ultima ricetta prima della nostra domenica splatter. Le ho guardate come si guardano le cose passate, con quella dose di malinconia che ti strizza il fondo dello stomaco.
Oggi il mio dito indice sta meglio.
È ancora qui attaccato, non abbiamo dovuto tagliarlo e sta recuperando bene, piano piano, che non è esattamente il mio ritmo preferito. L’unghia è Ultra Violet mooolto cool (il Pantone dell’anno!), la forma è quella di un ramoscello storto, la capacità di movimento è come quella del Rocker su una pista da ballo reggaeton, ma ci lavoreremo (sul dito, sul reggaeton è decisamente impossibile).
Dov’è che stavo correndo con la testa, anche di domenica mattina, anche con una giornata lenta di sole davanti? Quanti secondi di distrazione sono stati? Come funziona? Quand’è che ho deciso di dare per scontato un gesto abituale, quando mi sono sentita così sicura di portarlo a termine senza concentrarmi su quello che sto facendo, qui e ora? Non so rispondere ancora bene a tutte le domande che si sono accumulate nella mia testa.
È stata una di quelle cose che fanno un po’ male e un po’ bene, dove tra antidolorifici e antibiotici ti rendi conto che non stai correndo proprio da nessuna parte e che ogni tanto puoi concederti quel meraviglioso lusso di respirare, piano piano – che no, magari non diventerà mai il mio ritmo preferito – ma su cui posso almeno provare ad ondeggiare i fianchi.
BISCOTTI INTEGRALI ALL’AVENA
CON OLIO DI COCCO
Ingredienti:
200 g di farina tipo 2
50 g di fiocchi d’avena
1 cucchiaino di lievito per dolci
60 g di zucchero integrale di canna
80 g di olio di cocco misurato solido
5 cucchiai di latte d’avena
Sulla spianatoia fai una fontana con la farina, il il lievito e lo zucchero.
Trita i fiocchi d’avena in un mixer e aggiungili alla fontana.
Impasta con l’olio di cocco e il latte d’avena fino ad ottenere un impasto rustico.
Aiutandoti con poca farina, stendi l’impasto ad uno spessore di 3-5 millimetri e ritaglia i biscotti.
Posizionali su una teglia coperta con carta forno e cuocili a 190° per 12-15 minuti, fino a quando inizieranno a dorare.
Sfornali e non toccarli fino a quando saranno freddi e croccanti (sì, resistiiii, ne vale la pena!)
Splendida ricetta!posso chiederti dove hai trovato quei bellissimi stampi da biscotto?
Grazie, kristina 💚 sono felice ti siano piaciuti! Gli stampi meravigliosi arrivano da una cara amica che me li ha portati direttamnte da New York, sono marca Nordic Ware….un abbraccio