Siamo nel 2017, fuori piove a dirotto, in tv c’è Sanremo, qualcuno mi ha rubato gennaio e non so dove l’abbia nascosto. Poco male, io sono quella degli inizi lenti – oh sì, batto ogni record – dei polsi senza orologi, dei polsi che si toccano piano, uno attaccato all’altro, mentre le mani si scaldano con la tazza. La tazza ha il maglioncino a righe e mi segue in ogni stanza, se ne frega di che giorno è, non mi mette mai troppa fretta, anche se la fretta me la porto dentro e so pure dove sta di casa. Abita nella conca tra il fegato e lo stomaco, non sta mai ferma, la riesco ad addomesticare solo con le bevande calde. Quando avvicino la bocca alla tazza me la immagino mentre si fa la doccia e abbassa le difese, bagnata e ad occhi chiusi, appoggiata a qualche rossa parete interna.
Comunque mi sto ambientando, eh.
Scrivo 2017 subito, al volo, senza sbagliare più. Ho un nuovo telefono, una borsa enorme a pois per caricare in macchina tutto quello che posso, ho comprato per la prima volta degli stivaletti online e mi sono misurata i piedi (tu lo sai quanto misurano i tuoi, in centimetri? Io non ci avevo mai pensato!), ho una nuova borsa imbottita per la mia piccola Canon e anche un cappello che il Rocker ha deciso di non mettere più e che gli ho rubacchiato. Ho involucri nuovi per contenere le stesse vecchie cose di sempre, per proteggerle di più, per renderle migliori, perché – non te lo direi se non l’avessi capito negli ultimi mesi – la forma è sostanza.
Sbabababaaam.
Ma come? Ho passato un’adolescenza intera a rimuginare chiusa nel mio guscio in plastica rosa carne, un corsetto correttivo per la scoliosi freddo e rigido, mentre gli ombelichi delle mie compagne di classe mi sventolavano intorno come tanti ovali di una forma perfettta, al centro esatto di fianchi perfetti che ondeggiavano sinuosi, tenuti su da una colonna vertebrale perfetta.
Ho combattuto le apparenze e la superficialità con quella corazza che odiavo, ma che mi permetteva di saltare le ore di educazione fisica e mi regalava due ore di fila di romanzi presi a morsi, mentre gli altri sudavano inutilmente.
Ho osservato il modo in cui si cambiavano, i movimenti a scatti di N. che cercava ogni volta di battere il suo personale record: non stare senza vestiti per più di sette secondi, mentre S. le ballava intorno e galoppava per lo spogliatoio in mutande e reggiseno e si passava il roll-on sotto le ascelle davanti allo specchio e sgranava gli occhi e metteva le labbra protese, leggermente aperte, come se qualcuno la stesse fotografando.
Ho scritto e strappato quaderni interi, ascoltato canzoni fino a consumarle, il mondo mi ha fatto male e non riuscivo mai ad addormentarmi senza bagnare il cuscino per poi ritrovarlo asciutto il mattino dopo e ricominciare.
Ho firmato col sangue un manifesto interiore contro la forma – la stupidissima forma – ho disprezzato D’Annunzio e divorato Ferlinghetti, Corso, Bukowski, Faulkner.
Insomma, se sopra quei banchi qualcuno avesse osato dirmi che la forma è sostanza, sarei uscita dalla classe dicendo che andavo in bagno per poi correre a respirare l’odore di libri giù nella biblioteca, assicurandomi che non fosse vero niente.
Sono passati più dieci anni e innumerevoli vite, ho imparato a darmi qualche carezza, ho mitigato la febbre con il respiro, la disillusione con la meraviglia. Ho dosato e mescolato, non diversamente da come faccio per gli ingredienti, variando il ritmo del braccio, osservando le consistenze, assaggiando, decidendo cosa aggiungere.
La forma è sostanza, perché la comunica, la riveste, la porta, la esprime. L’una non esiste, se non c’è anche l’altra. No, non sto dicendo che non userò più il correttore e porterò le mie occhiaie con fierezza in quanto tangente forma di appassionate giornate tirate tardi.
E sì, c’hai ragione pure tu che stai leggendo, tutto ‘sto sbattone mentre stai aspettando la cioccolata calda che ti ha promesso il titolo 😉
Eccola. Ho voluto iniziare con lei il mio duemiladiciassette e il cielo imbronciato su Torino ha deciso che me ne dovrò preparare molte altre, per aspettare una primavera lontanissima.
La forma è quella di una cioccolata calda densa e cremosa, dove affondare e far riemergere il cucchiaino, la sostanza è quella che non ti aspetti: cacao, mandorle, banana, scaglie di cocco. Stretti, abbracciati nel boccale, frullati insieme fino a confondersi.
Perché non ne faccio una normale con il latte, lo zucchero, la panna montata e i sacri crismi? Innanzitutto perché a me la cioccolata calda non ha mai detto niente di niente: datemi litri di caffellatte, fatemici fare il bagno, ma latte e cacao tenetevelo. Poi, soprattutto, perché se c’è una cosa che è rimasta intatta da quegli anni là è la curiosità, la voglia di sperimentare, di ficcare il naso, di assaggiare, di provare, di ribaltare tutto e vedere di cosa sa. Questa cioccolata sa di buono ed è un modo perfetto per variare di tanto in tanto la colazione, perché è composta da ingredienti alcalini, utili per quando ci si sente stanchi, affaticati anche al risveglio, poco brillanti, ovvero tutti quei casi in cui servirebbe Gianni Morandi sul comodino che agita in aria i pugni chiusi: DAICHECELAFAI!
Inauguro un nuovo anno di Coffee&Mattarello così: strano, un po’ sovversivo, coraggioso (ma lo sai da dove deriva “coraggioso”? Prenditi 20 minuti, adesso.), pieno di cose buone che fanno bene.
Se non sono buone, bleah, non le vogliamo.
Se non fanno bene, che ce ne facciamo?
Con tutta l’energia che posso, buon febbraio…e che sia un nuovo anno indimenticabile 🙂
CIOCCOLATA CREMOSA ALLE MANDORLE
Per una tazza:
30 g di mandorle non pelate
1 banana matura
1 cucchiaio di cacao
miele (se serve un po’ più di dolcezza)
scaglie di cocco
Mettere in ammollo le mandorle per almeno un’ora (se si lasciano in ammollo dalla sera prima è più comodo), scolarle e metterle nel boccale del frullatore. Aggiungere 150 ml di acqua naturale, la banana tagliata a pezzetti, il cacao e frullare fino ad ottenere una bevanda cremosa.
Scaldarla a fuoco dolcissimo, aggiungere il miele a piacere.
Versare nella tazza, spolverare con il cocco e gustare.
quanta verità in quello che dici! pure io come te dieci anni fa (forse anche qualcuno in più) pensavo alla forma, alla materialità, come qualcosa di un livello più basso rispetto al mondo della poesia, dell’arte, delle idee. poi il tempo mi ha insegnato che la forma è il mezzo con cui il mondo esterno diventa percepibile e attraverso il quale nutriamo il nostro mondo interiore. vorrei annaffiare anch’io la fretta che ho nello stomaco con una tazza di cioccolato caldo come hai fatto tu, e farle fare una doccia di dolcissima realtà. complimenti per la tua ricetta e per le tue sagge parole. un abbraccio!
Che belle righe che mi hai lasciato, Tizi! Ho fatto esattamente il tuo stesso percorso con forma e sostanza…e una fetta della tua ultima torta la vedo benissimo ad accompagnare questa cioccolata 😉 grazie per essere passata di qui, ti abbraccio!
Tesoro mio: al tuo coraggio, alle tue cioccolate, alla tua (bellissima) forma che è sempre sostanza.
In 16 parole riuscire a farmi emozionare così tanto…grazie, Lucy mia!