Nella vita ci sono due categorie principali di cose: quelle che non cambiano mai e quelle in continua evoluzione. Più quel milione di cose che stanno nel mezzo, che se no sarebbe troppo facile.
Andiamo per ordine: la polenta fa parte della prima categoria. La polenta è sempre lei. La si vede meno sulle tavole di casa e più alle sagre di paese. Hanno fatto la versione istantanea, sotto diversi marchi, quella che “cuoce in pochi secondi”. Non credeteci, eh? Per una polenta come si deve, noi polentoni al nord ci mettiamo almeno un’ora.
Viene meglio se sono due. Viene perfetta se sono due e mezza.
Portate pazienza: la prima categoria è complicata, i tempi lunghi sono necessari, aumentano la salivazione e preparano lo spirito ad affondare il cucchiaio nel piatto.
La polenta poi ha un caratteraccio.
Bisogna starle dietro, se no si attacca.
Borbotta per quasi tutta la cottura, imbronciata, eppure è di quel giallo vero, intensissimo, che riscalda solo a guardarla.
Il radicchio lo mettiamo nella categoria di mezzo. Le cose che sono sì come una volta, ma che si adattano ai tempi che cambiano. Quello che ho usato qui è la varietà di Chioggia, selezionata negli anni ’30 e raffinata intorno agli anni ’50. Dopo la raccolta, finisce che lo si brasa, lo si glassa oppure lo si sgranocchia crudo. Ha un amarognolo che fa tanto chic e lo si trova spessissimo in quei piatti lucidi, su tovaglie immacolate, con dieci posate a destra, dieci a sinistra e il signore insistente che vi vuole versare l’acqua nel bicchiere.
È sempre lui, il radicchio, quello che arriva sporco di terra, ma, quando ci vuole, mette il vestito delle grandi occasioni.
Bisogna starle dietro, se no si attacca.
Borbotta per quasi tutta la cottura, imbronciata, eppure è di quel giallo vero, intensissimo, che riscalda solo a guardarla.
Il radicchio lo mettiamo nella categoria di mezzo. Le cose che sono sì come una volta, ma che si adattano ai tempi che cambiano. Quello che ho usato qui è la varietà di Chioggia, selezionata negli anni ’30 e raffinata intorno agli anni ’50. Dopo la raccolta, finisce che lo si brasa, lo si glassa oppure lo si sgranocchia crudo. Ha un amarognolo che fa tanto chic e lo si trova spessissimo in quei piatti lucidi, su tovaglie immacolate, con dieci posate a destra, dieci a sinistra e il signore insistente che vi vuole versare l’acqua nel bicchiere.
È sempre lui, il radicchio, quello che arriva sporco di terra, ma, quando ci vuole, mette il vestito delle grandi occasioni.
La fontina la piazziamo nella categoria evoluzioni. Dal 1270 ad oggi la produzione è diventata quasi completamente industriale e purtroppo è uno dei formaggi italiani più contraffatti al mondo – FontinaCheese non si può sentire – colpito dal triste fenomeno del falso made in Italy. Colpito, ma non affondato. Le fontine artigianali esistono, sono poche, buone e più care delle sorellastre con la crosta rossa fiammante.
Bisogna solo saperle cercare bene, sul territorio, con la punta del naso in su e la giacca a vento abbottonata fin sotto il collo 🙂
E il Guster? Il Guster arriva dritto dritto dall’Agrisalumeria Luiset, un’azienda che abbraccia tutte e tre le categorie.
Luigi (Gino) Casetta oggi è un signore dagli occhi azzurri e appassionati, che ha appreso l’arte di fare i salumi da ragazzo. A soli 25 anni sa scegliere le giuste spezie e dosare il vino così bene, che diventa il massacrin preferito dai contadini della zona. I salami li fa con la grana grossa ancora oggi, perché “se la grana è fine, lì dentro è facile finisca tutt’altro, fuorché buona carne”.
Il presente porta i nomi di Mauro e Chiara, figli di Gino, che gestiscono un laboratorio decisamente all’avanguardia e guardano sì al futuro, ma tenendo ben stretti i valori e i segreti di una volta, cercando di confezionare un prodotto che conservi il gusto e la genuinità della tradizione. Il Guster è l’ultimo arrivato in casa Luiset, un wurstel agricolo di puro suino, con carni scelte (si utilizzano le rifiniture dei prosciutti cotti) di animali cresciuti lentamente, senza forzature alimentari. Viene aggiunto del vino bianco, il sale e un mix di spezie naturali: erbe di provenza, pepe nero, cipolla disidratata, cannella e noce moscata. Si addiziona una piccola percentuale di salnitro – conservante obbligatorio per legge – e il tutto è conservato dentro un il budello completamente naturale.
Curioso l’aneddoto sulla scelta del nome: arriva dai piccoli di casa Luiset, che i salumi li mangiano buoni e quei mega wurstel del supermercato nemmeno li sanno pronunciare:“Papà, perché tu non li fai, i guster?”. Detto, fatto.
Questa è la mia ricetta per il weekend fradicio che ci aspetta.
Condite il tutto con la giusta dose di pigrizia, che di domenica è quasi d’obbligo, e non dimenticate un bel bicchiere di vino rosso….per lunedì sarete rigenerati 🙂
CROSTINI DI POLENTA
CON RADICCHIO, FONTINA E GUSTER
Ingredienti per 8 crostini:
125 g di farina di mais
500 ml di acqua
mezzo radicchio tondo
una cipolla bianca
100 g di fontina
2 Guster Luiset
olio extravergine d’oliva
sale
pepe nero
Preparare la polenta: scaldare l’acqua in una pentola dal fondo spesso, con due pizzichi di sale e, appena prima che raggiunga il bollore, versare la farina la pioggia. Abbassare la fiamma e lasciare cuocere per almeno 40 minuti, mescolando spesso con l’apposita spatola oppure con un cucchiaio di legno. Quando è pronta, mettere in un contenitore e lasciare raffreddare bene.
Nel frattempo preparare il radicchio: sciacquarlo e tagliarlo a listarelle. Mondare e tagliare la cipolla a pezzettini. In una padella, riscaldare quattro cucchiai d’olio e far imbiondire la cipolla. Aggiungere il radicchio con sale e pepe e farlo rosolare a fiamma vivace, poi abbassarla, coprirlo e cuocerlo per circa 10 minuti, in modo che rimanga croccante. Mettere da parte e utilizzare la stessa padella per rosolare i Guster. Tagliarli a rondelle. Tagliare la fontina a fettine.
Tagliare la polenta fredda in otto fette, disporle su una teglia coperta di carta da forno e su ogni fetta aggiungere, in ordine: il radicchio, la fontina, il guster.
Infornare a 200° per circa 10 minuti e servire ben caldi.
Infornare a 200° per circa 10 minuti e servire ben caldi.
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L'equilibrio tra passato, presente e futuro in bocconi che profumano d'inverno: come sempre le tue ricette portano alla bocca valori e meraviglie.
splendido piatto !
Aleeee, ma sei proprio tu?? 🙂 che meraviglia e quanto tempo! Mi fa piacerissimo ritrovarti qui…corro a vedere cosa combini…grazie 🙂
Leggerti e trovarti qui è sempre una meraviglia, Lucia 🙂 grazie…ti abbraccio stretta stretta!