Ogni tanto sento il bisogno fisico di levarmi dall’asfalto di Torino e tornare a casacasa, nell’odore buono di terra che in città non c’è. Di solito faccio la valigia all’ultimo e arrivo col fiatone in metropolitana, rischiando di farmi investire almeno un paio di volte in cinque minuti di tragitto. Ovviamente non ho mai il biglietto già fatto e, mentre penso che dovrebbero accelerare le scale mobili, mi fiondo in biglietteria sentendo la voce metallica di Porta Nuova che annuncia il mio treno in partenza. Incito la macchinetta a dare il meglio di sé, oblitero al volo e salgo.
Tlac.
Un nanosecondo dopo si chiudono le porte ed io, con la testa che picchia, mi dico che voglio dormire per il resto della vita. Inutile dirlo, spesso finisce che pur facendo tutto questo casino il treno parta senza di me e mi tocchi aspettare quello dopo 🙂
L’altro ieri, invece, ce l’ho fatta.
Tlac.
Con una certa compostezza tradita dai miei capelli arruffati ho scelto la carrozza in base alle facce degli altri passeggeri, mi sono seduta, ho tolto il giubbotto, ripreso fiato, controllato di non aver perso il biglietto per strada, già che mi sono ammazzata per riuscire a farlo.
E il treno? Niente. Fermo. Impalato lì al binario 8.
Passano dieci minuti, prime lamentele mugugnate.
Un quarto d’ora e lamentele molto ben definite.
Dietro di me, un signore lampadato e con gli occhiali da sole scende a “vedere cosa sta succedendo”. Risale senza nessuna informazione e inveisce contro il ritardo, perché “quando arriva quello stronzo del controllore glielo dico”, i biglietti che aumentano, i treni sporchi, i baristi che non fanno gli scontrini, gli italiani che non capiscono niente. Un paio di altri gli danno ragione e parte la diatriba economica sul paese.
Al mio fianco, invece, c’è Agata. Ha i capelli ricci e una tuta rossa quasi quanto le sue guance. Prima vuole un pezzo di focaccia “picciolo“, impara che quei pezzettini verdi sono di rosmarino e poi con la bocca unta chiede alla mamma perché siamo fermi. La mamma le risponde che forse il treno ha bisogno di energia e insieme pensano di dargli una mano battendo le mani e cantando: “Dai, dai, dai, dagli una spinta, dagli una spinta e vedrai che partirà“. Agata si spolmona, impegnandosi tantissimo nell’esecuzione e unendo una coreografia fatta di saltelli.
Nonostante la performance, la canzone non fa effetto, quindi pensa bene di avvertire il papà del ritardo. Apre la mano sinistra e con l’indice destro digita sul palmo: “Ci-ao Pa-pi tLe-no non anco-La pa-Lti-to ma stia-mo per a-LLi-va-Le met-ti l’-a-cqua per la pa-sta gLa-zie“, poi chiude la mano a pugno e dice: “Inviato!”.
Sui sedili dietro siamo invece arrivati ai politici “che bisognerebbe fucilarli tutti, andare a Roma e metterci una bomba sotto” e che – nel frattempo il treno è partito, ma nessuno se ne accorge – “non si può, questo paese è finito, se lo sono mangiato, ma tu ci pensi? Loro sono là tranquilli a non fare un cazzo e noi qui che non riusciamo ad arrivare a fine mese…”
Tapperei le orecchie ad Agata per non farle arrivare sotto pelle tutto quell’inquinamento, ma non ce n’è bisogno, perché lei non si cura minimamente di quello che accade alle sue spalle ed è già altrove: ha aperto un libro con gli angoli sciupati, lo posa sulle gambe e, dopo avermi chiesto come mi chiamo, mi “legge” una storia piena di effetti rumoristici che parla della gallina Cocca. Un po’ prima di scendere infilo il giubbotto, mentre lei dice: “pecché metti la giacca?” e io le rispondo che quella è la mia fermata e il mio papà mi aspetta in stazione. “Come si chiama il tuo papà? Il mio si chiama Giulio!”
Il modo in cui si guardano le cose. Bastava sedersi un po’ più in là e sarei stata ingabbiata in una cappa di grigiore rabbioso, ritorto, sigillato su se stesso senza possibilità di evoluzione. Forse i lamentosi sono ancora là che sputano veleno. Agata, invece, si è mangiata una buona pastasciutta e magari si è fatta pure un sonnellino.
Ci ho pensato a lungo, poi, mentre impastavo, tra il profumo di asparagi, la morbidezza della robiola e il sapore deciso della pancetta.
Che sia un nuovo mese rosso fiammante…e se proprio non ingrana, tu dagli una spinta 😉
STRUDEL CON ASPARAGI,
ROBIOLA E PANCETTA
Per la pasta:
125 g di farina integrale
100 g di farina 0
80 g di burro
un pizzico abbondante di sale
mezzo bicchiere di acqua fredda
Per il ripieno:
una decina di asparagi
80 g di pancetta a fette
100 g di robiola
scaglie di parmigiano (a piacere)
pepe nero (a piacere)
Setacciare le farine in una ciotola, aggiungere il sale ed il burro morbido a pezzetti. Impastare con la punta delle dita per far assorbire il burro alla farina e aggiungere l’acqua. Formare velocemente un impasto, avvolgerlo nella pellicola e infilarlo in frigorifero per circa mezz’ora.
Eliminare il fondo degli asparagi (…non buttatelo! Ricette ECO in arrivo nei prossimi giorni;) ) e sciacquarli bene. Mettere un dito d’acqua in una pentola, aspettare il bollore e tuffarvi gli asparagi per 4-5 minuti, per farli intenerire. Togliere dal fuoco, bloccare la cottura sotto un getto di acqua fredda e metterli da parte.
Accendere il forno.
Riprendere la pasta, stenderla con il mattarello, aiutandosi con poca farina e darle la forma di un rettangolo. Spalmare la robiola sulla pasta, avendo cura di non avvicinarsi troppo ai bordi. Disporre le fette di pancetta e, per ultimi gli asparagi. Aggiungere qualche scaglia di parmigiano e una spolverata di pepe, se piacciono. Arrotolare lo strudel e richiudere bene i bordi. Con la pasta avanzata si possono creare delle semplici strisce da intrecciare sullo strudel. Bucherellare con la forchetta qua e là lo strudel e disporlo su una teglia coperta di carta forno.
Infornare a 180/200° per circa 40 minuti, controllando che non colorisca troppo. Sfornare e aspettare che si raffreddi per tagliarlo a fette. Si può mangiare caldo oppure freddo. Ottimo per un pic nic sull’erba 🙂
E' un così grande piacere leggerti! 😀
E sì… anche lo strudel merita un sacco… anche perché con questo la primavera è bella arrivata!!!
E si,carissima,lo strudel è qualcosa di speciale e non eliminerò niente in attesa di ricette ECO.ciao Mav
Leggendoti quanti ricordi dei treni presi, ma anche di quelli persi a porta nuova.
Auguri di buona pasqua e complimenti per la ricetta.
Io che ho scelto la campagna, ogni tanto ho voglia di città…ma non rinuncerei a svegliarmi in mezzo al verde.
Un abbraccio
Simona
Queste sono le storie che più mi piacciono anzi i viaggi che più mi piacciono e più mi mancano!!!!
Durante la mia vita da pendolare ho incontrato e conosciuto tanta gente, ognuno con la sua storia da raccontare e condividere.
Ora soffro la solitudine della macchina ;-(
Bacio Popeya mia, ti rubo una fetta 😉
…è invece sempre un grandissimo piacere trovarti, Miu Mia! 🙂 la voglia di primavera c'è tutta…però sto meteo si deve impegnare, eh? 😉 un abbraccio grande! Grazie!
…grazie, Mav! Ricette eco in arrivo presto prestissimo! 😉
Ciao, Simo! Anche io ne ho persi un bel po' a Porta Nuova…che bello esserci trovate 🙂 ogni tanto devi venire per forza in città, che così ci facciamo due chiacchiere! Bacioni grandi grandi 🙂
Anche a me è sempre piaciuto il viaggio in treno…guardare le facce, immaginare le storie, ascoltare pezzi di conversazioni telefoniche 🙂 posso offrirmi come passeggera per alleviare la solitudine?! Mettiamo un po' di rock in radio e…viaaa 😉 vi abbraccio, Popeya bella!