Sicilia.
Anche quest’anno sono venuta a prendermi la mia dose di tempo lento, di vento, di colori caldi.
È stato un viaggio lungo e tragicomico in aereo, durato 16 ore e forse forse col treno avremmo fatto prima 🙂 scalo con incendio a Fiumicino, la Vueling che va in palla, il parquet dell’aeroporto, i bambini che piangono a dirotto, le madri nervose che urlano e li fanno piangere più forte, i vecchi che occupano l’aereo per protesta, i bagagli che non arrivano.
Niente di tutto questo ha minimamente scalfito il nostro entusiasmo, ché se uno va in vacanza deve andarci col sorriso 🙂
Il Rocker è casa e a me emoziona sempre vederlo lì, dentro le sue strade, fra le sue cose, nel suo studio.
Io sono fuori posto, ma mi adatto in fretta e mi lascio viziare da questa terra bella e generosa.
Faccio esattamente come le anatre: calme, eleganti e tranquille in superficie, che nuotano all’impazzata sott’acqua. Ce le avete presente? 🙂
Batto le zampe palmate come un’indemoniata: settembre è ad un soffio da qui e c’è da pensare agli ultimi esami, alla tesi, a cercare quel posticino nel mondo che sembra sfuggirmi appena penso di averlo acchiappato e,  soprattutto, al nuovo blog.
Sisì, avete letto bene: inscatolo tutto, butto via le cose che non servono più, mi armo di pazienza e creatività e saluto Blogspot per una nuova avventura. Ci sarà sempre del buon cibo, ci saranno nuove storie e tanti, tantissimi cambiamenti.
State lì, che arrivo.
Nel frattempo, lasciatemi qualche settimana qui, nella mite Isola.
Mite, ma non troppo, specie quando si tratta della gastronomia locale: qui la questione si fa seria, sacra e intoccabile. Ad ognuno le sue preparazioni, divise sul territorio, con qualche mezza discussione da cui, state sicuri, non uscirete mai.
La diatriba mangereccia più famosa è quella sul genere dello street food per eccellenza: Arancino o Arancina? In tutta la parte orientale, ditelo maschio, che ci tengono.
E non nominate le interiora che mettono fra due fette di pane a Palermo: “ca nun ni mangiamo, sti cosi!”
Così, quando ho pensato ad una ricetta semplice e buona, profondamente a est, stavolta mi è venuta in mente la Vastedda.
Che la Sicilia a tavola sia impegnativa non è una novità e tocca applicarsi anche con il linguaggio: la Vastedda è sia un formaggio di pecora, sia una pasta buona buona, imparentata con lo gnocco fritto, ma biondissima, perché fatta solo con farina di semola.
Il nome non ha traduzione in italiano ed esiste solo così, dialettale e rustica.
È la focaccetta che si mangia nelle sere d’estate, semplice o “cunzata” (condita) con pomodorini e caciocavallo.
Cerco online qualche notizia in più e trovo una versione coi fiori di sambuco. “Chidda di Enna“, mi confermano gli espertissimi. Pochi click più in là e un sito attribuisce alla città di Modica una vastedda con 4-6 uova nell’impasto.
“A propria!”.
A t t e n z i o n e.
Il siciliano è impervio e più che di “false friends” pullula di vere e proprie bastardate linguistiche.
“A propria!”, detto rigorosamente con il punto esclamativo al fondo, non significa “Certo, proprio così“, come sembrerebbe, sta anzi per il contrario: un coloritissimo “Ma che, sei scemo? Per niente!“.
Farina di semola, acqua, sale, un pochino di lievito, mi dicono. E basta.
Impastare, aspettare, lavorare con le mani, cuocere nell’olio bollente, che “fritta vene cchiù saporita, come tutti cosi“.
Ne esiste anche una versione anche al forno, che cambia nome: la faccia ri veccia, la faccia di vecchia. Sempre tonda, uguale uguale alla sorella tuffata in padella, ma un pochino più sottile, in modo che le pieghe della pasta la rendano rugosa, proprio come una curva nonnina siciliana.
“La Faccia ri veccia è buona, sì…giusta“. Ri-attenzione.
“Giusta“, quindi adatta, valida, perfetta? Macché. “Giusta” qui significa un “così così” scarso, di quelli che si dicono per far arrabbiare la cuoca.
Invece, signori miei, la vastedda è “cchiù bella“. Vi pare poco?
In cinque lettere un siciliano racchiude tutto: più bella, sì, che vuol dire anche più buona, più dorata, più gustosa, più invitante, PIÙ.
Vorrete mica mettervi a discutere? Date un morso, piuttosto! E godetevela…
VASTEDDA CUNZATA
(VASTEDDA CON POMODORINI E CACIOCAVALLO RAGUSANO)
Ingredienti per circa 8-10 vastedde:
500 g di semola rimacinata di grano duro
250-300 g di acqua
un cucchiaino di lievito di birra fresco
sale q.b
olio di arachide per friggere
pomodorini
caciocavallo a pezzetti
origano
Formare una fontana con semola e versarci dentro la metà dell’acqua. Sciogliervi il lievito e iniziare ad impastare, aggiungendo acqua fino ad ottenere un panetto morbido e compatto.  Aggiungere il sale e impastare bene. Lasciare riposare coperto da un canovaccio bagnato per almeno 2 ore.
Dividere l’impasto in 8-10 palline e con le mani tirarle grossolanamente, lasciando volutamente delle parti più spesse ed alcune più sottili.
In una padella, scaldare bene l’olio e friggere le vastedde da una parte e dall’altra, se le preferite semplici. Se invece le volete “cunzate”, friggeterle da un lato e, quando le si gira, condirle con pezzettini di cacio. Terminare la cottura dall’altro lato, tirarle fuori dalla padella. Aggiungere pomodorini a pezzi e origano e gustare calde o tiepide.
Ieri leggendo "Aristotele detective" sono inciampata su questa metafora della papera serena e serafica sopra e agitatrice di correnti sotto con le sue zampette palmate!!e oggi la ritrovo qui da te…che dire ? Gotiti l'isola e tutti i sogni e le idee spettinate che ti ispira questa vacanza!! Un bacio carissima…Betullina
Cara Marzia, passare da queste pagine è sempre un vero piacere. Per gli occhi e per il palato – certamente – che vengono solleticati dalle splendide ricette che ci proponi, ma anche per lo spirito, che è rinfrancato dalla tua scrittura lieve e briosa e dal tuo sguardo sorridente sul mondo.
Un po' invidio la tua vacanza siciliana, perché da troppo tempo vorrei fare rotta anch'io verso quella terra ed ancora non ci sono riuscita. Ora resta solo da scoprire se nell'attesa proverò prima la vastedda o la scaccia, da tempo immemore nella mia personale lista di lacune da colmare!
Un abbraccio
I siciliani in poche parole racchiudono ventimila significati, tu in poche righe mi fai morire dal ridere e risollevi una giornata. Mi hai fatto capire che della Sicilia, a livello gastronomico, conosco ben poco e quindi devo recuperare. Quest'estate sarò prima a Favignana e poi a Palermo. Comincio da lì il mio tour, non me ne vogliano gli orientali. Poi magari l'anno prossimo ci penso anche per le zone del catanese & Co.
Sulla diatriba arancine arancini, sai che mi corressero in un post? Io scrissi di arancini e loro mi dissero che si chiamano arancine 🙂 Alla fine scoprii che era perché la ricetta mi fu data da catanesi e a correggermi sul nome fu una palermitana.. ma si può? 😀
Baciotti e buon proseguimento delle vacanze :*
Oggi recupero tutto quello che non ho letto.
Popeya bella sono contenta dei cambiamenti che presto ci saranno ma ti confido che questo Coffee&Mattarello mi mancherà ….se non ci fosse stato lui, noi non saremmo arrivate dove siamo!!!
E ti confido pure che vorrei essere seduta lì con voi a mangiare tutte quelle bontà siciliane!!!
bacio popeya bella
Ogni volta leggerti è una sferzata di energia buona! Spero di abbracciarti prestissimo, Betullina 🙂
Giulia, ciao! Secondo me la Sicilia è assolutamente da scoprire, specie se si ama il cibo! Chissà se riusciamo ad organizzare un mini tour insieme? Sarebbe bellissimo! Inizia dalla vastedda, che è semplice e buona e poi la scaccia completerà l'opera 😀 un abbraccio forte!
Paola bella, spero che il tuo giro siciliano sia stato pieno di cose buone! Palermo è complessa e bellissima 🙂 a Favignana invecs non sono mai stata…mi racconterai! Non vedo l'ora…un abbraccione!
Popeyetta, non avere nostalgia, perché sarà sempre lui, solo un po' più approfondito e pratico 😀 presto ti riabbraccio e non vedo l'ora…però le specialità saranno piemontesi! 😉 un bacio grande